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La clausola di Salvaguardia o S.I.R. (Self Insurance Retention) è definita come l’importo che l’assicurato tiene a proprio carico per ciascun sinistro. Simile alla definizione di franchigia, differisce da quest’ultima poiché da intendersi anche in termini di gestione, istruzione e liquidazione del sinistro ove lo stesso rientri integralmente al di sotto di detta soglia prescelta.

In termini più semplici la franchigia è la soglia minima scelta dalla compagnia al di sotto della quale la copertura non emetterà alcun effetto, mentre la S.I.R. è la gestione di tutti quegli eventi che vanno a ricadere all’interno di quell’intervallo.

La gestione dei sinistri in S.I.R. si rivolge a tutti, in particolare quelli che ne fanno più uso sono tutte quelle realtà pubbliche e private che si trovano, per dimensioni e per territorialità, a gestire un numero di eventi sinistrosi molto alto (per esempio G.D.O., Enti Pubblici, eccetera).

La gestione diretta dei sinistri consente all’assicurato un maggiore controllo dei propri rischi e una maggiore analisi degli stessi, che permetterà di elaborarne il contenimento attraverso un corretto e appropriato piano di gestione.

Proprio per questo molti assicurati preferiscono attivare la S.I.R., mantenendo in proprio quella parte di rischio che risulterebbe antieconomico traferire alla compagnia di assicurazione. L’assicurato, a seconda delle proprie dimensioni, della propria territorialità e, soprattutto, in funzione del proprio piano di contenimento e gestione dei rischi potrà o meno affidare a società esterne specializzate nella gestione dei sinistri in Self Insurance Retention.

A volte ritornano…

Obiettivo Risarcimento WEB 30sec

Era il 2014 quando insieme ad altri colleghi, si girava nelle corsie dei reparti ospedalieri per cercare di rimediare più contatti possibili di professionisti del settore sanitario, con lo scopo di poter promuovere successivamente Piani Individuali Pensionistici (Fondi Pensione). A quei tempi lavoravo per una compagnia generalista e le responsabilità civili, soprattutto nell’area medico-sanitaria, erano un vero e proprio tabù, perché etichettati come “rischi non graditi” alla compagnia. Seppur la materia fosse interessantissima ed era diventato un mio hobby tenermi aggiornato, frequentare corsi e leggere libri del settore, non avrei, comunque, potuto proporre quel tipo di prodotto assicurativo perché sottoposto al veto della mia mandante.

La cosa che mi stupiva giorno dopo giorno, nell’entrare negli ospedali e nel percorrere le fredde corsie bianco-verdi pregne di ansia e sofferenza, era vedere che oltre a noi intermediari del settore assicurativo e ai rappresentanti farmaceutici o di prodotti medicali, era costante la presenza di avvocati e di procacciatori di affari di società di tutoring.

Questi ultimi, soprattutto, erano protagonisti di pietosi teatrini, nel quale l’avido imbonitore cercava di convincere in tutti i modi i pazienti, o i loro familiari, che qualora avessero subito un torto anche minimo dal nosocomio o dai medici dello stesso, avrebbero potuto sporgere denuncia, attraverso di loro e a titolo completamente “gratuito”, per danni da medical malpractice. Erano veri e propri avvoltoi che volavano sopra al deserto in attesa di povere vittime da imbonire e assalire, con l’unico obiettivo di distruggere, a torto o ragione, l’immagine e il lavoro della Medicina e dei propri operatori. Il tutto a discapito dei cittadini italiani perché, e in questo caso la statistica viene a darci una mano, proprio nei 5 anni dal 2012 al 2017, il 97% delle cause insorte tra pazienti e medici per medmal sono state archiviate dai Tribunali Italiani con un nulla di fatto, intasando le aule di giustizia, rallentando il lavoro degli impiegati pubblici, dei Giudici, dei Magistrati, dei Cancellieri, con un enorme spreco economico che avremmo preferito destinare a opere diverse.

A fronte di tali bassezze deontologico-professionali, non pochi sono stati gli scontri tra gli ordini e le associazioni di categoria sfociati, addirittura, in vere e proprie campagne in difesa della categoria sanitaria. In particolare ricordo con molta simpatia, un sarcastico spot, dal quale, peraltro, mi sono ispirato per il titolo di questo articolo, nel quale degli avvoltoi sono pronti ad assalire le proprie prede, i medici, garanti della salute di ogni cittadino.

Spot A.M.A.M.I. – Associazione Medici Accusati di Medicalmalpractice Ingiustamente

L’associazione che si era occupata di girare e produrre questo video era l’A.M.A.M.I. – Associazione Medici Accusati di Medicalmalpractice Ingiustamente e questa stessa associazione fu proprio creata, oltre che per mire solidaristiche tra medici, anche a seguito di un’altra grossa campagna pubblicitaria del 2009 di una ormai famosa società di tutoring, dove si evidenziava e sollecitava lo spettatore alla possibilità di intentare o sollevare azioni di rivalsa, anche temerarie, contro il Servizio Sanitario Nazionale.

Spot del 2009

Bene… considerato che siamo in tema del #10yearschallenge che spopola su social network, mettendo a confronto due fotografie, una attuale e una di dieci anni fa, possiamo dire di essere fortunati a poter fare altrettanto con questi video di odio contro la categoria sanitaria. Infatti, dopo ben 10 anni, la stessa società di tutoring, ci riprova, e anche in grande stile. Il nuovo spot passa sulla rete pubblica nazionale, nell’orario di punta, con un messaggio più che diretto allo spettatore e con un testimonial di eccezione: Enrica Bonaccorti. Facendosi gioco della risposta della A.M.A.M.I. di cinque anni prima, ignorando completamente qualsiasi regola di deontologia professionale, in un momento di forte cambiamento della giurisprudenza al riguardo, considerato che siamo a quasi due anni da un cambio normativo molto forte sulla responsabilità medica e sulla sicurezza delle cure, questa stessa società entra con feroce prepotenza nelle case degli Italiani a promuovere, come merendine e biscotti, il loro servizio di gestione dei danni alla persona finalizzata all’ottenimento di un risarcimento nei casi di ipotetica malasanità.

Spot del 2019
#10yearschallenge

In un clima già pesante nei confronti dei medici, degli infermieri e degli operatori socio-sanitari, dove i mass-media ne fanno protagonisti per eccellenza di cronaca nera, ove un nuovo impianto normativo appena insediato fa molta fatica a partire, ove gli stessi operatori di giustizia fanno fatica a interpretare e applicare la Legge, ove le Compagnie assicurative nazionali fuggono dal rischio consentendo alle straniere di fare cartello, si innesta un ulteriore incitamento all’odio nei confronti degli operatori sanitari del Servizio Sanitario Nazionale e per giunta proprio sul circuito televisivo pubblico (un controsenso senza precedenti). Tutto questo non farà altro che favorire la migrazione degli operatori dal pubblico al privato, portando inevitabilmente ulteriore diffidenza su tutte le categorie operanti, e gli effetti di tutto questo non potranno che ricadere su tutti gli utenti, ossia su tutti noi.

Non posso che condividere l’ennesima reazione del mondo associativo, delle organizzazioni sindacali e della Federazione Nazionale degli ordini dei medici (FNOMCEO) che hanno immediatamente richiesto la sospensione in via “cautelativa” dello spot in questione alla televisione pubblica. La valutazione della reclame pubblicitaria sarà sottoposta all’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, anche se la stessa FNOMCEO ha annunciato una lettera al Consiglio Nazionale Forense in relazione alle pressioni da parte di avvocati per intentare cause di risarcimento che, come prima accennavo, per oltre il 90% finiscono in un nulla di fatto.

Ultimamente, anche Consulcesi ha promosso una petizione online, sul sito Change.org per la creazione del Tribunale della Salute, un vero e proprio luogo di confronto e non di contrapposizione tra medici e pazienti. In 48 ore l’iniziativa ha raggiunto più di 10.000 adesioni, una bella risposta allo spot di incitamento all’odio.

Personalmente, la mia opinione, converge a favore della categoria sanitaria. Non mi sono mai piaciuti né gli avvoltoi né le persone che si approfittano della sofferenza altrui. Coloro che lavorano nella sanità e nel sociale, ogni giorno sopportano un enorme peso psico-fisico per portare avanti la loro professione. Alcuni di loro dedicano a tal punto se stessi al bene degli altri, superando spesso le barriere del benessere proprio. Basti pensare allo scalpore che ha suscitato il post di chirurgo di un ospedale toscano che ha festeggiato il proprio capodanno in sala operatoria, accumulando ben oltre 600 ore di lavoro notturno in un anno a discapito della propria famiglia. Quanti pazienti dovranno ringraziare quel medico?

Credo fermamente nella giustizia e so perfettamente che su ogni albero possono crescere mele marce, che vanno assolutamente estirpate prima che rechino danni ad altri, ma credo anche che invece di creare pubblicità televisive che possono aumentare l’astio, l’odio e la sfiducia nella sanità, si potrebbero investire soldi per fare qualcosa di molto più concreto per portare a galla tutte le falle del sistema, a partire dagli impiegati improduttivi o perennemente  malati, ai giochi di potere e quei sanitari che hanno tradito il proprio giuramento, la loro missione, in favore di un “credo” molto più “prezioso” e “appagante”.

Molti professionisti, in particolare nel settore medico-sanitario, si sono scontrati più di una volta, soprattutto nel passato, con polizze che in parte o per tutte le garanzie avrebbero coperto l’assicurato in secondo rischio. Cosa vuol dire?

La clausola di Secondo rischio copre il rischio assicurato nella parte eccedente il massimale di una prima polizza, oppure si potrebbe avere a disposizione una copertura che viene prestata in presenza di condizioni contrattuali diverse da quelle previste per il primo rischio.

In parole più semplici, la clausola rende la polizza effettiva a partire dal massimale previsto dalla prima assicurazione, fino al massimale di secondo rischio.

Affinché possa essere operativa, una clausola di secondo rischio deve essere formulata in maniera specifica. Caratteristica principale ed essenziale è che il rischio assicurato sia già stato oggetto di assicurazione da una prima polizza vigente al momento della stipula della seconda. Entrambe non possono e non devono assolutamente riguardare rischi differenti tra loro.

Essendo una clausola che ha fatto molto discutere sulla propria operatività e liceità, questa è stata ovviamente oggetto di varie dispute nei vari tribunali italiani, concluse con la sentenza 4936/15 della III Sez. Cass. Civ. che ha inteso chiarire definitivamente la natura della clausola in questione.

Strettamente collegato all’argomento trattato nella scorsa pillola, anche se non esiste molto materiale al riguardo, è la cosiddetta Deeming clause: una clausola che riconduce, convenzionalmente, il momento di presentazione della richiesta di risarcimento a quello di presentazione della comunicazione delle circostanze rilevanti in base alle quali sia ragionevolmente possibile prevedere che ne derivi una richiesta di risarcimento.

E’ un artificio giuridico nella contrattualistica assicurativa essenziale ed è molto utile per alcune situazioni. Può capitare, ad esempio, che l’Assicurato abbia stipulato coperture senza tacito rinnovo e quindi senza continuità assicurativa (oppure con una Retroattività limitata e non sufficiente), dunque, nel caso in cui, durante la vigenza della polizza, si venga a conoscenza di circostanze o fatti (ovviamente, non dichiarati in fase di acquisizione del rischio) e la richiesta risarcitoria vera e propria pervenga dopo lo spirare della polizza.

Va considerato, comunque, in ogni caso che se la polizza è a tacito rinnovo all’Assicurato certamente non converrà cambiare assicuratore. Questo poiché potrebbe rischiare o l’esclusione delle future richieste risarcitorie nascenti da circostanze già note oppure, nel caso in cui avesse stipulato un contratto senza tacito rinnovo, l’inclusione della Deeming clause obbligherebbe l’Assicurato a comunicare eventuali fatti o circostanze di cui è venuto a conoscenza durante il periodo di assicurazione, disponendo che qualsiasi richiesta risarcitoria collegata a tali fatti o circostanze sia considerata dagli Assicuratori come effettuato durante il predetto periodo di vigenza.

Questa clausola è utilissima, ci piace ribadirlo, nelle polizze di Responsabilità Civile professionale, affinché l’Assicurato abbia un’adeguata copertura e possa vedersi tutelato anche successivamente alla scadenza del contratto.

Nel compilare un questionario di assunzione di un rischio professionale, il proponente “inciamperà” sempre e comunque su una domanda che lo lascerà sicuramente stordito e confuso:

“Esistono circostanze o fatti noti al proponente che potrebbero far scaturire richieste di risarcimento del danno da parte di terzi alla data di compilazione del presente questionario?”

In sostanza le compagnie stanno chiedendo se, il potenziale cliente è, al momento della compilazione del documento di assunzione del rischio, a conoscenza di qualsiasi tipo di situazione che, un domani, in corso di validità del contratto stipulato, possa dare origine a una eventuale richiesta di risarcimento danni da parte di terzi.

Esistono circostanze o fatti noti al proponente che potrebbero far scaturire richieste di risarcimento del danno da parte di terzi alla data di compilazione del presente questionario?

Non si parla di vere e proprie richieste espletate in forma giudiziale o stragiudiziale, si definiscono invece fatti e circostanze quelle situazioni per le quali la condotta dell’assicurato possano in futuro prossimo far presagire l’eventualità di un qualsiasi tipo di ricorso. È buona norma per il proponente perdere un po’ di tempo in più a compilare un questionario ma avere un rapporto chiaro con il proprio consulente e con la propria compagnia, piuttosto che ricevere brutte sorprese in caso di sinistro.

La compagnia, in caso di presenza di circostanze o fatti noti, può comunque assicurare il proponente alle condizioni standard del modello di polizza prescelto oppure può applicare franchigie o scoperti su quei determinati casi dichiarati o addirittura escluderli dal contratto.

La clausola “Continuous cover”, in inglese “copertura continua”, viene introdotta per la prima volta proprio dai sottoscrittori Lloyd’s nel settore delle RC Professionali dalle polizze “All Risks”.

L’importanza di questa clausola e la necessità della sua presenza in polizza derivano dal fatto che, alla stipula del contratto, l’assicurato è tenuto a dichiarare, oltre ai sinistri veri e propri, tutti i fatti o circostanze di cui sia a conoscenza, oggettivamente e ragionevolmente suscettibili di generare una richiesta di risarcimento futura da parte di terzi e al fatto che quest’obbligo dichiarativo ha rilevanza anche ai sensi degli artt. 1892, 1893, 1894 c.c.

La clausola “Continuous cover” ha quindi la finalità di garantire, in assenza di tacito rinnovo, che siano in copertura anche quei sinistri che potranno sorgere in caso di validità della polizza e che siano riconducibili a circostanze già note dall’assicurato. Ovviamente l’operatività della clausola non è assoluta ma è subordinata al verificarsi di condizioni ben precise e proprio queste condizioni, diverse da polizza a polizza, sono da valutare attentamente per non rischiare che la clausola si riveli più “dannosa” che “utile”.

Opportuno deve essere segnalare sempre e comunque fatti che corrispondano al vero nelle circostanze descritte.

Quali sono gli errori nei quali può incorrere il professionista nello svolgimento della propria attività e che possono generare una richiesta di risarcimento danni per responsabilità professionale?

  • Negligenza: quando vengono trascurate per superficialità o disattenzione le regole e le modalità comuni nello svolgere un’attività.
  • Imprudenza: quando un’attività è svolta in modo avventato, impulsivo e poco prudente.
  • Imperizia: particolarmente importante per i professionisti perché significa svolgere il proprio operato senza avere la capacità tecnica specifica.

Quali sono i livelli di gravità della colpa in cui un professionista potrebbe incorrere, se provati ovviamente, in sede di giudizio:

  • Colpa Lievissima.
  • Colpa Lieve: quando non viene rispettata la normale diligenza richiesta a un professionista, che è comunque gravato da un onere di diligenza superiore rispetto a quella di un normale cittadino.
  • Colpa Grave: quando non vengono rispettate nemmeno le più elementari indicazioni di condotta, che chiunque rispetterebbe.

La normativa sull’esercizio delle professioni riconosce in modo deciso che il ruolo del professionista non può essere preso alla leggera, poiché deve rispondere all’aspettativa dei cittadini di trovarsi di fronte una persona molto competente nel proprio ambito.

Che cosa è la responsabilità professionale? Da dove nasce l’esigenza di assicurare la propria professione?

Tutto parte da una frase contenuta all’interno di un articolo del Codice Civile (Art. 2043) che cita, in termini molto comprensibili che “qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

Questa citazione ha fatto cadere sulla testa di tutti, indistintamente, il peso della responsabilità civile nei confronti dei terzi in caso di “fatto illecito”. Non si può, per ovvie ragioni, escludere da questo concetto la classe dei liberi professionisti, argomento odierno (dei dipendenti ne parleremo in un prossimo aggiornamento).

È sempre stato fondamentale, seppur facoltativo, per un libero professionista assicurarsi, al fine di tutelare il proprio patrimonio da errori o omissioni che potessero generare richieste di risarcimento danni cagionati a terzi nello svolgimento della propria attività libero professionale. Questa facoltà, però, diviene obbligo con il D. Lgs. 137/2012 divenuto successivamente legge che non lascia scampo a chi, prima di allora, non aveva contratto copertura. Ovviamente la norma va a colpire tutte le professioni regolamentate e subito dopo l’approvazione suscitò clamore in considerazione della delega agli ordini di appartenenza per i regimi sanzionatori.

Nel breve periodo, subito dopo l’entrata in vigore della legge, molte compagnie di assicurazioni hanno attuato le strategie più disperate al fine di tutelare le loro riserve tecniche da eventuali sinistri. Alcune hanno aumentato i tassi, altre sono fuggite dai settori più rischiosi, altre ancora hanno aumentato gli scoperti e le franchigie. La questione più eclatante, però, considerata la tipologia di polizze, è stato il mancato rinnovo dei contratti a scadenza o, addirittura, disdette unilaterali del contratto da parte delle direzioni di compagnia.

Responsabilità psichiatraDalla vasta rosa di specializzazioni presenti in medicina, questa volta approfondiamo la delicata posizione rivestita dallo psichiatra.

La natura delle patologie trattate da questo specialista nonché la fragile posizione socio-assistenziale nella quale, a volte, i pazienti si trovano, possono determinare responsabilità anche penali, non strettamente connesse con il proprio operato seppur ne siano una stretta conseguenza.

Per chiarire meglio questo aspetto si devono esaminare le varie pronunzie della Suprema Corte orientate sempre a rivestire la figura dello psichiatra di un obbligo di controllo e di protezione del paziente, volto soprattutto a prevenire il pericolo che lo stesso commetta atti lesivi in danno di terzi o di se stesso.

Espressione di questo concetto fondamentale di Responsabilità civile e penale è, ad esempio, ben rappresentata nella sentenza n. 43476/2017 dove uno specialista in psichiatria riceve la convalida della condanna per omicidio colposo a causa del suicidio di una paziente affetto da schizofrenia cronica. Poco dopo avere ingerito una massiccia quantità di un antipsicotico, la donna si era presentata in ospedale e, successivamente, era stata dimessa dall’imputato senza che quest’ultimo attuasse terapie o meccanismi di controllo.

Ulteriore e gravissima negligenza contestata e oggetto di numerosa giurisprudenza, risulta essere la scelta o meno del ricovero coatto di un paziente. Su questo caso va senz’altro citata la sentenza n. 3609/2016. Qui si afferma che il medico del reparto di psichiatria, se sussiste il rischio concreto di condotte lesive, anche suicide, è tenuto ad apprestare delle specifiche cautele per tutelare il paziente anche se quest’ultimo non dovesse essere sottoposto a ricovero.

Sempre con riferimento all’obbligo di garanzia dello psichiatra nei confronti del paziente, alcune sentenze di I e II grado di giudizio avanzano un’ipotesi di colpa dello specialista per non aver apprestato le necessarie precauzioni affinché taluni eventi lesivi o autolesivi non si verificassero. Si può, quindi, sintetizzare che il sanitario specialista in psichiatria ha l’obbligo di ridurre al minimo, ovvero eliminare, determinate fonti di pericolo a tutela dei beni giuridici che con esse si trovano in contatto nonché lo stesso risponde con colpa nella violazione delle regole di condotta dell’attività medico-psichiatrica nelle seguenti ipotesi:

  1. Quando modifica la terapia farmacologica senza prima aver valutato e verificato la condizione del paziente con particolare riferimento ai sintomi di aggressività o forte depressione.
  2. Quando non commisura le visite al paziente alle sue reali necessità.
  3. Quando non richiede il trattamento sanitario obbligatorio se si ravvisa una sintomatologia ove è ampiamente manifesta una condotta del paziente lesiva o autolesiva.

Una delle voci che è buona norma analizzare è quella che fa riferimento al massimale, agli scoperti e alle franchigie. Che cosa sono esattamente?

Il massimale rappresenta la somma massima che la compagnia di assicurazione liquiderà, nel caso in cui si dovesse verificare l’evento per il quale è stato stipulato il contratto stesso. Vedremo questa cifra espressa in tutti i contratti ad eccezione della polizza vita e vita intera.

Lo scoperto è un concetto simile a quella della franchigia, che vedremo subito dopo e stabilisce nel momento della stipula del contratto di assicurazione una percentuale del risarcimento del danno che resterà a carico dell’assicurato. Ha lo scopo di evitare alle compagnie il risarcimento dei danni minori e la funzione di sensibilizzare l’assicurato a una maggiore prudenza.

Al contrario dello scoperto la franchigia è quella parte di indennizzo che resta a carico dell’assicurato espressa in cifra fissa. La franchigia può essere di tipo assoluto quando al di sotto di essa il risarcimento sarà integralmente a carico dell’assicurato e al di sopra sarà pari alla differenza tra il risarcimento e la cifra fissa espressa sul frontespizio di polizza. La franchigia sarà, invece, relativa, quando al di sotto di essa il risarcimento sarà integralmente a carico dell’assicurato e al di sopra sarà integrale.