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cassazione_claimsmadeI contratti di assicurazione stipulati in ambito sanitario non possono essere a tempo determinato.

Secondo la Suprema Corte, che si espressa con la sentenza n. 10506/2017, l’inserimento in polizza della clausola claims made è illegittima perché tende a coprire l’assicurato solo per un periodo ben definito.

Claims made è uno dei due regimi (l’altro è loss occurrance) a cui può essere assoggettata una polizza di responsabilità civile professionale e con il regime di claims made si assume che il sinistro venga “attivato” dalla richiesta di risarcimento che l’assicurato riceve, e pertanto le relative garanzie operano dal momento in cui tale richiesta è ricevuta. Di fatto con il regime claims made l’assicurato potrebbe avere copertura assicurativa anche senza essere stato assicurato al momento della commissione dell’errore, purché sia assicurato al momento della richiesta di risarcimento danni.

E il danno in sanità può essere evidente anche dopo diversi anni, lasciando senza copertura l’assicurato a vantaggio dell’assicuratore.

Per questo la Cassazione (Sezione III civile – Sentenza 28 aprile 2017 n. 10506) ha dichiarato nella sentenza che “la clausola cosiddetta claims made, inserita in un contratto di assicurazione della responsabilità civile stipulato da un’azienda ospedaliera, per effetto della quale la copertura esclusiva è prestata solo se tanto il danno causato dall’assicurato, quanto la richiesta di risarcimento formulata dal terzo, avvengano nel periodo di durata dell’assicurazione, è un patto atipico immeritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322, comma secondo del codice civile, in quanto realizza un ingiusto e sproporzionato vantaggio dell’assicuratore, e pone l’assicurato in una condizione di indeterminata e non controllabile soggezione”.

Nel caso specifico un paziente operato in un ospedale di Milano aveva riportato lesioni, manifestate a distanza di tempo. In quel momento il paziente aveva chiamato in causa l’azienda ospedaliera per essere risarcito.

L’ospedale a sua volta ha chiamato in causa il proprio assicuratore che ha negato di essere tenuto al pagamento dell’indennizzo proprio per la presenza della clausola claims made dal momento che il danneggiato aveva chiesto i danni all’ospedale “dopo la scadenza della polizza”. In primo grado, il Tribunale di Milano nel 2010 aveva dato ragione alla Compagnia di assicurazione.

Successivamente la Corte di Appello ha ritenuto la clausola vessatoria e condannato la Compagnia al risarcimento. E ora la Cassazione ha respinto l’ulteriore ricorso dell’assicuratore.

È opportuno sottolineare che il primo baluardo a difesa del rischio di responsabilità civile della struttura sanitaria, in particolare quella privata, è sicuramente una copertura assicurativa.

Di rilevante importanza è il regime di efficacia temporale della copertura, così come richiesto dall’art. 1917 c.c. ossia che l’evento dannoso faccia riferimento “al tempo dell’assicurazione”. Su questo tema, nella storia delle assicurazioni e dei normativi di polizze R.C., si trovano due modalità operative: il regime loss occurance e il regime claim made.

Nel primo caso la copertura si attiva se l’accadimento e/o il danno si verifichi nel periodo di efficacia della polizza; nel secondo caso, la copertura si attiva se sia la richiesta di risarcitoria che l’evento dannoso avvengano nel periodo di efficacia della polizza o entro un termine, cosiddetto, di retroattività che, per contratti stipulati successivamente all’entrata in vigore della Legge 24/2017, è pari a 10 anni (art. 11); precedentemente tale clausola variava da contratto a contratto in base ai testi di polizza e alle scelte dei singoli assicurati.

Una ulteriore soluzione da attuare è l’azione di regresso della struttura sanitaria nei confronti del medico o dell’equipe, autori dell’evento dannoso. Ovviamente la solidarietà, trattata nel precedente articolo, non influenza assolutamente i rapporti interni tra condebitori solidali (Cass. 22/11/1985 n. 5802). Ne consegue che il danneggiato potrà esercitare il suo diritto al risarcimento nei confronti della struttura o del medico, che pagando libererà l’altra parte dal debito con il danneggiato e successivamente la parte soccombente potrà esercitare azione di regresso ai sensi dell’art. 1299 c.c.

Di sovente capita che a entrambe le parti vengano attribuiti diversi tipi di responsabilità e che concorsualmente abbiano contribuito alla produzione dell’evento. Entrambe, in questo modo, risultino debitrici in misura diversa rispetto al danneggiato seppur solidali tra loro nella stessa obbligazione (ad esempio quando oltre all’errore medico si dovessero palesare carenze nella struttura organizzativa o strutturale della clinica).

assicurazione strutture sanitarieAltro rimedio è la chiamata a garanzia della compagnia assicurativa.

In base all’attuale normativa, è pacifico che la struttura risponda per i propri dipendenti, meno chiara è sempre stata l’individuazione della responsabilità per i professionisti che operano all’interno della stessa struttura con diverso regime o rapporto lavorativo. Per molto tempo si è affermato con convinzione, attraverso varie pronunce giurisprudenziali che la responsabilità della struttura fosse conclamata solo in due casi:

  1. rapporto di lavoro subordinato struttura/medico;
  2. contratto diretto tra paziente e struttura, quest’ultima sceglieva il medico (professionista/dipendente) da affidare all’obbligato.

In tutti gli altri casi, la maggior parte, in cui il contratto sociale era paziente/medico e quest’ultimo, in un momento successivo, sceglieva la struttura e i locali dove svolgere il proprio operato, individuare e attribuire responsabilità alla Clinica diveniva sempre più complicato, per due essenziali motivi: prima di tutto la Casa di Cura si limitava alla fornitura del vitto e dell’alloggio e della locazione delle eventuali sale operatorie; secondo, questa era totalmente estranea all’operato del medico.

L’attuale normativa, nonostante gli orientamenti giurisprudenziali passati, ascrive alla struttura una responsabilità di tipo contrattuale nei confronti del danneggiato (art. 1218 c.c.) e una responsabilità extracontrattuale (art. 2043 c.c.) al medico professionista che opera all’interno della stessa e con la quale non esista alcun vincolo di subordinazione. Tale fondamento normativo deriva dalla stretta connessione tra le due figure interdipendenti tra di loro, nella quale il medico si configura come “ausilio necessario” all’attività d’impresa della Clinica e quest’ultima concorre al rischio d’impresa, ivi compreso quello della distribuzione delle competenze tra i vari operatori, delle quali il titolare d’azienda risponde (art. 1228 c.c.). La prestazione del medico è indispensabile alla Casa di Cura per adempiere alle obbligazioni assunte con i propri clienti/pazienti.