Nell’affollata sala operatoria di un ospedale di Salerno, il dottor Ricci, un rinomato ginecologo, stava concludendo con successo un delicato intervento chirurgico. La paziente, Anna, era alla sua quinta gravidanza e sembrava aver superato l’operazione senza complicazioni. Ma come spesso accade, il vero pericolo si nascondeva nell’ombra del post-operatorio.
Dopo l’intervento, il dottor Ricci si accertò che Anna fosse stabilizzata e la affidò al ginecologo di turno per il monitoraggio. Si sentiva sicuro, certo di aver fatto tutto il possibile per garantire la sua guarigione. Tuttavia, poche ore dopo, un’emorragia da atonia uterina, una condizione rara ma grave, iniziò a manifestarsi.
I segni c’erano: una pressione arteriosa instabile, una frequenza cardiaca alterata, la contrazione dell’utero insufficiente e un livello di emoglobina in calo. Ma nessuno li notò in tempo. L’emorragia progredì inarrestabile, e Anna perse la vita.
La famiglia di Anna, devastata dal dolore, cercò giustizia, portando il caso in tribunale. Fu contestato al dottor Ricci di non aver monitorato accuratamente le condizioni cliniche della paziente nel delicato periodo post-operatorio, mancando così la possibilità di una diagnosi precoce dell’atonia uterina e dell’emorragia post partum.
Il medico si difese, sostenendo che aveva svolto il suo dovere fino a quando Anna era sotto la sua supervisione diretta.
Tuttavia, sia in primo grado sia in appello la questione rimase controversa sino alla pronuncia della Suprema Corte che non accettò la linea di difesa del Ricci.
Con la sentenza n. 13375 del 2024, la Cassazione ribadì che la responsabilità del chirurgo si estende anche al periodo post-operatorio. Questo obbligo di sorveglianza è cruciale, soprattutto nelle fasi iniziali del puerperio, per prevenire complicazioni gravi e potenzialmente letali.
La Suprema Corte sottolineò come il monitoraggio post-operatorio non possa essere considerato un compito delegabile senza una chiara e continua supervisione, soprattutto in casi ad alto rischio come quello di Anna. Le consulenze tecniche, sia di accusa che di difesa, avevano concordato sull’importanza di un attento controllo della paziente per rilevare tempestivamente i sintomi dell’emorragia post partum, responsabile del 30% di tutte le cause di morte materna.
La storia di Anna e del dottor Ricci è un doloroso promemoria dell’importanza del monitoraggio post-operatorio e della responsabilità continua che i chirurghi hanno verso i loro pazienti, ben oltre la sala operatoria.
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*I personaggi e gli eventi descritti in questo articolo sono frutto della fantasia e non corrispondono a persone o situazioni reali. La storia narrata è liberamente ispirata alla sentenza della Corte di Cassazione n. 13375 del 2024. Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o decedute, è puramente casuale.